Non può ritenersi contrastante con il diritto europeo il limite al subappalto di cui all’art. 105, comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016, attualmente fissato nella misura del 40% in seguito all’intervento del decreto c.d. “sblocca cantieri” e della sua legge di conversione n. 55/2019. E’ questo il principio di recente affermato dal TAR Roma, Sez. I, con la sentenza n. 4183 del 24 aprile 2020.
Chiamato a decidere su una controversia insorta nell’ambito di una procedura per l’affidamento del monitoraggio di contratti ICT, il TAR è tornato sul tema del limite posto dalla normativa nazionale alla quota parte subappaltabile della prestazione.
Nonostante le ormai note pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019, C-63/19 e del 27 novembre 2019, C-402/18, nonché le censure mosse dalla Commissione europea nella recente procedura di infrazione n. 2018/2273, dirette ad evidenziare l’incompatibilità con il diritto UE dei vincoli quantitativi al subappalto previsti dalla disciplina italiana, con la pronuncia in commento si registra un’ulteriore resistenza interna allo scardinamento di tali limiti. In un clima già ricco di incertezze circa gli effetti dell’orientamento espresso a livello europeo e la perdurante applicabilità o meno della norma di diritto interno, la recente pronuncia del TAR Roma si pone in linea con gli orientamenti già espressi dall’ANAC nell’atto di segnalazione n. 8 del 13 novembre 2019 e da una parte della giurisprudenza (cfr. TAR Puglia, Lecce, sent. 1938/2019).
Con riferimento al caso di specie, anzitutto il TAR Roma, aderendo alla tesi della stazione appaltante, ha ritenuto opportuno inquadrare l’impiego di cinque lavoratori autonomi per lo svolgimento di una rilevante parte delle attività oggetto di appalto nell’ambito dell’istituto del subappalto e non del sub-affidamento ai sensi dell’art. 105, comma 3, lett. a),, come invece prospettato dalla ricorrente. Secondo il Collegio, infatti, il legislatore ha inteso ampliare quanto più possibile il concetto di subappalto al fine di evitare ogni possibile elusione della disciplina in materia di evidenza pubblica, dovendosi considerare sub-affidamento di lavoro autonomo solamente l’affidamento a terzi di specifiche attività non costituenti l’oggetto principale dell’appalto e non per l’intero periodo di durata del contratto.
Tanto premesso, attesa la consistenza delle prestazioni affidate a terzi mediante subappalto, si è conseguentemente posto il problema della possibilità o meno di superare il limite della quota parte di prestazione subappaltabile, individuato oggi (a seguito dell’entrata in vigore della legge di conversione del c.d. “sblocca cantieri”) nel 40% dell’importo contrattuale.
La stazione appaltante aveva, infatti, concluso per l’illegittimità del superamento di siffatto limite, con la conseguente esclusione dalla procedura di gara dell’operatore economico, il quale ha dunque impugnato la propria estromissione invocando le citate pronunce della Corte di Giustizia sull’illegittimità del vincolo quantitativo di cui all’art. 105, comma 2 del D.Lgs. n. 50/2016. Tuttavia, il TAR ha ritenuto non rilevante il riferimento, precisando che “la Corte ha considerato in contrasto con le direttive comunitarie in materia il limite fissato, non escludendo invece che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari, un limite al subappalto proporzionato rispetto a tale obiettivo”. In altre parole, il Collegio ha interpretato l’orientamento europeo nel senso di aver censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno nella soglia del 30%, ma non escludendo la compatibilità con il diritto dell’Unione di limiti quantitativi superiori.
Pertanto, conclude il TAR, può considerarsi legittima la soglia del 40% attualmente imposta dal legislatore nazionale alla quota parte subappaltabile, invece abbondantemente superata nel caso esaminato.