Il TAR Lazio (Roma) sulla disciplina dell’equo compenso.

 

La vicenda contenziosa origina da una procedura indetta dall’Agenzia Del Demanio per l’affidamento dei servizi di verifica della vulnerabilità sismica, diagnosi energetica e rilievi BIM per alcuni beni immobili. L’operatore economico risultato inizialmente aggiudicatario è stato, all’esito di verifica dell’anomalia dell’offerta, escluso per aver applicato, indirettamente, un ribasso anche sui compensi dei professionisti, inderogabili e non ribassabili, incorrendo, così, in una violazione delle disposizioni normative di cui alla legge n. 49/2023 e della lex specialis che di essa faceva applicazione.

L’oggetto del giudizio

Il concorrente pretermesso ha impugnato il provvedimento di esclusione, affidando il ricorso a due motivi. Per quanto qui di interesse, la ricorrente ha denunziato:

  1. l’incompatibilità della regola della non ribassabilità dei compensi con il diritto eurounitario (in particolare, con il principio della concorrenza) e con le disposizioni codicistiche;
  2. la circoscrizione della disciplina sull’equo compenso alle sole ipotesi in cui la prestazione professionale sia resa da singoli liberi professionisti, che trovi fondamento in un contratto d’opera caratterizzato dall’elemento personale, alla luce del richiamo all’art. 2230 c.c.

La decisione del TAR

Il TAR Lazio (Roma) ha ritenuto infondato il ricorso, offrendo un’interpretazione sistematica della disciplina in materia di equo compenso.

Anzitutto, ha classificato la nullità delle clausole che non prevedano un compenso equo come una nullità c.d. “di protezione”, affermandone la piena compatibilità con il diritto eurounitario.

Nello specifico, richiamando un precedente del TAR Veneto (sentenza n. 632/2024), ha escluso che la disciplina sull’equo compenso possa arrecare pregiudizio alla concorrenza: infatti, il confronto competitivo semplicemente trasla sui profili accessori del corrispettivo globalmente inteso e sui profili tecnici-qualitativi dell’offerta presentata, così garantendo alla pubblica amministrazione elevati standard professionali ed una buona qualità dei servizi.

Ancora, il TAR ha constatato l’inconferenza del recente arresto della CGUE (sentenza 25 gennaio 2024, in causa C-438/22), posto che la decisione resa dai giudici del Lussemburgo aveva ad oggetto tariffe minime fissate non già con norme di carattere generale adottate da autorità pubbliche (come nel caso di specie), ma con determinazioni del Consiglio superiore dell’Ordine forense, organismo che agisce alla stregua di un’associazione di imprese.

Il Collegio ha, inoltre, negato che sussistesse una “ontologica incompatibilità” tra la legge sull’equo compenso ed il Codice dei contratti pubblici. Infatti, la legge n. 49/2023 trova applicazione anche rispetto alle prestazioni rese in favore della P.A. ed il Codice prevede, come regola generale per le pubbliche amministrazioni, l’applicazione del principio dell’equo compenso.

Infine, il TAR ha rigettato l’ulteriore censura rilevando come l’adesione alla tesi di parte ricorrente condurrebbe ad una disparità di trattamento tra il libero professionista singolo ed i professionisti operanti nell’ambito di società, associazioni ed imprese, che potrebbero trarre un illegittimo vantaggio dalla mancata applicazione della normativa in materia di equo compenso, praticando ribassi non contendibili dai singoli operatori.

Di seguito il link per la consultazione della sentenza:

TAR Roma, sez. V-ter, 30 aprile 2024, n. 8580